Taddeo 2.0 – Un anno di animazione digitale

Oggi, 31 agosto 2016, termina il mio incarico di animatrice digitale presso l’Istituto Comprensivo “Taddeo Cossu” di Teulada. Da domani continuerò il mio lavoro di insegnante di sostegno in un altro Istituto, ma non potevo non raccontarvi la mia esperienza.

Le mie competenze digitali non sono eccellenti. È vero, al pc mi arrangio, so gestire un blog, usare smartphone, telecamera, Gimp e Movie Maker… ma non sapevo nulla di Moodle, coding, Html…

Ho accettato l’incarico con tanta voglia di mettermi in gioco per il bene della mia scuola. Così mi sono armata di buona volontà e ho iniziato l’avventura.

È stata l’occasione per dare luce al mio ordine di scuola, la Scuola dell’infanzia. La maggior parte delle volte, infatti, essa viene esclusa da molte iniziative: corsi, di formazione, progetti, concorsi… Eppure nell’Istituto “Taddeo Cossu” l’infanzia è stata protagonista di molte iniziative (giornate di sensibilizzazione, concorsi, sperimentazioni digitali, condivisione di didattica inclusiva), diventando così uno stimolo per gli altri ordini del nostro istituto.

Da febbraio sono diventata editor della pagina Facebook di Istituto e ho cercato di capire come i social media potessero diventare occasione di crescita per tutti i miei colleghi. A poco a poco ho iniziato a coinvolgerli perché condividessero e raccontassero (attraverso video e foto) ciò che avveniva nelle nostre aule.

Pian piano la scuola ha spalancato porte e finestre e la didattica ha iniziato a diventare trasparente e visibile al tempo stesso.

Facebook ci ha dato l’opportunità di far vedere chi siamo, cosa facciamo e perché lo facciamo, sia rivolgendoci ai nostri interlocutori più immediati – le famiglie, il territorio – sia confrontandoci con un pubblico più ampio nei numerosi gruppi internazionali che si occupano di didattica.

Abbiamo cercato di coinvolgere soprattutto le famiglie, che sono una risorsa fondamentale. Ma la vera ricchezza sono stati i nostri alunni, che giorno dopo giorno ci hanno aiutato in questo percorso di crescita (“digitale” e non).

Abbiamo dato molta importanza alla privacy, cercando di rispettare bambini e famiglie e mostrando che è possibile raccontare la didattica senza spettacolarizzare.

Tutto ciò ha subito entusiasmato le famiglie che venivano aggiornate quasi in tempo reale non solo sugli aspetti organizzativi, ma anche sui progetti e sulle attività didattiche.

I “like” per noi hanno significato sostegno, motivazione a fare di più e meglio, e ci hanno fatto capire soprattutto che “si può fare”. Da qui l’idea di aprire altri canali social (YouTubeInstagramTwitter) e un blog didattico che affiancasse il sito ufficiale dell’Istituto. Così è nato iscola.eu, dove abbiamo iniziato a raccogliere documentazione didattica e sul quale abbiamo sperimentato un sistema di modulistica online.

Direi che ho svolto una “animazione social”, in cui partecipazione e condivisione sono diventati gli obiettivi principali: tutti insieme (alunni, docenti e famiglie) abbiamo collaborato per rendere “Taddeo” una scuola per tutti e di tutti. Il tema dell’inclusività è stato il protagonista di questo racconto digitale, in cui i momenti di sensibilizzazione hanno mostrato continuamente come la diversità possa diventare una risorsa per tutti.

Il neonato team digitale e la redazione Facebook che si è costituita negli ultimi mesi dimostrano che l’animazione digitale non è un lavoro dove predominano le capacità di un singolo, ma è un’attività dove il lavoro di squadra porta a tanti successi.

Ed è così, si può fare, basta volerlo ma, soprattutto, basta essere uniti.

Non conta di chi è l’idea, chi ha organizzato o chi l’ha eseguita: quando si ha lo stesso obiettivo non importa chi va in scena o chi lavora dietro le quinte, perché alla fine lo spettacolo non esisterebbe se non ci fosse il contributo di tutti. La parola chiave è condivisione… perché in fondo è anche formazione. Solo i grandi maestri portano rispetto per la propria disciplina e la divulgano a coloro che continueranno con la stessa passione a divulgarla. Penso che la stessa cosa valga per noi insegnanti: diventiamo uno lo stimolo dell’altro…

Tante cose sono state fatte dall’inizio di questa avventura digitale ed è difficile raccontarle tutte, anche perché occuperei troppo spazio. Se avrete voglia di saperne di più, questo è il link che rimanda a un video di circa tre minuti sul nostro canale YouTube.

Tengo a precisare che, ovviamente, la mia azione non è stata esclusivamente “social” ma ho cercato costantemente di aggiornarmi e di cercare applicazioni digitali nella didattica, condividendo il tutto con i miei colleghi.

Inoltre, il lavoro con il blog della scuola mi ha permesso di conoscere il funzionamento di WordPress, di imparare a gestire un blog e di capire in che modo questo diventi uno strumento importante per la didattica.

È vero che le competenze digitali sono alla base di una scuola innovativa e all’avanguardia, ma se prima impariamo a condividere ciò che realmente siamo e cosa sappiamo fare avremo una scuola genuina e pronta a raggiungere nuovi orizzonti.

Vi lascio con una citazione della grande Hellen Keller: “Da soli possiamo fare così poco; insieme possiamo fare così tanto”.

Buon inizio d’anno scolastico a tutti.

Monia Sitzia
Animatrice digitale – Istituto Comprensivo “Taddeo Cossu” di Teulada

PNSD: un abito da modellare a misura di scuola

A cura di Laura Neri, Animatore Digitale dell’IC Monte Rosello Alto di Sassari.

Quando una scuola opera in un contesto territoriale cosiddetto ‘difficile’, ogni proposta nuova sembra sempre una sfida insormontabile, un’impresa alla Mission Impossible, dove gli attori principali, se non soccombono, ne escono comunque con un bel po’ di traumi e lesioni!

Se da proposta nuova si passa poi a proposta innovativa le cose si complicano ulteriormente, i paradigmi diventano più oscuri e lì si entra inesorabilmente in territori tra la magia e l’eroismo, in cui, per venirne fuori, sarebbe auspicabile, per non dire necessaria, un’alleanza di potenza pari a quella immaginabile, per esempio, tra Harry Potter e gli Avengers (per rimanere in tema di citazioni cinematografiche).

La persuasione di alcuni colleghi e, più in generale, del personale della scuola, all’utilizzo delle tecnologie nella prassi quotidiana – ormai giustamente disillusi dall’ennesima riforma, dal milionesimo tentativo di rivoluzione del sistema, con la velata (a volte neanche troppo) insinuazione che la ‘versione precedente’ del modello organizzativo e formativo servisse a poco o niente – non richiede infatti solo sforzi fisici e mentali allo stremo della resistenza, ma spesso il reperimento di potenti formule e pozioni magiche!

Mi spiego meglio, con un caso banale ma, a mio avviso, sufficientemente emblematico: convinco il collega di Scienze, esausto del disinteresse a lezione dei ragazzi di una terza media, che le molecole potrebbero diventare più allettanti se presentate attraverso un video sulla LIM e una lezione costruita, per esempio, come attività di gruppo, incentrata su ricerca e selezione in classe di materiali digitali a tema; ops!, il docente mi ricorda che in classe c’è la LIM, ma, ahimè, è stato rubato il proiettore il mese scorso; no problem!, insisto io: la modalità BYOD dà sempre ottimi risultati anche in questi casi di carenza di dotazioni tecnologiche in classe; altro dettaglio: manca la connessione ad internet e qui la situazione inizia a complicarsi; attingo a tutte le mie riserve di inventiva e creatività, ma non mi viene altro da suggerire se non il ricorso alla connessione personale dei ragazzi, auspicando che le famiglie siano favorevoli ad un suo utilizzo per la didattica (mi ripeto intimamente e con convinzione, mentre espongo la proposta al collega, che io da mamma lo sarei!); ma quando mi spiega che in classe sono presenti tre ragazzi ROM che, non solo non hanno il cellulare, ma non portano mai neanche libri e quaderni, ed è presente anche una discreta percentuale di ragazzi che non dispongono di device personali e/o di connessione, ecco che non mi rimane che interpellare i migliori maghi di tutta la saga di Harry Potter per poter trovare la formula che mi aiuti a coniugare tecnologia e IMPOSSIBILITA’ di usarla!

Pensate che io mi sia arresa troppo in fretta?

Errore!

In separata sede, e dopo aver ringraziato il collega per la disponibilità ad un confronto su “molecole-versione-innovativa-no-possible”, rifletto a lungo e ragiono proprio sulla parola innovazione, riflessione supportata dal lungimirante aforisma di Karl Raimund Popper: “La consapevolezza non inizia con la cognizione o con la raccolta di dati o fatti, ma con i dilemmi”.

Ed io ho un mio dilemma di partenza, come Animatore Digitale: il dilemma è proprio l’innovazione, non di per sé, come concetto o teoria, ma collocata nell’hic et nunc di una scuola fragilissima sul piano del digitale e delle infrastrutture.

Mi si apre un mondo, una serie di riflessioni, dilemmi si aggiungono a dilemmi, ma la consapevolezza pare una luce lontana, quasi irraggiungibile.

E tra le tante, frenetiche letture, compare una vecchia conoscenza: il mio docente di Comunicazione Pubblica dell’Università, Prof. Piero Dominici (pierodominici.nova100.ilsole24ore.com), scrive da anni sul tema e le sue intuizioni sull’importanza di educare alla complessità e al pensiero critico (cit. – www.techeconomy.it – 2016/04/05) iniziano progressivamente a dare un senso al mio pensiero, a fargli acquisire una traiettoria più definita:

– i dilemmi di Popper (e quelli di Potter!) volgono verso una maggiore consapevolezza del mio ruolo e dei miei compiti non solo come docente, ma anche come “promotore di azioni nell’ambito della progettazione, sicurezza, privacy, copyright, ambienti di apprendimento, connettività, fundraising, orientamento e carriere, cittadinanza digitale, sviluppo pensiero computazionale, robotica, risorse educative aperte, formazione e accompagnamento, digital literacy, inclusione,…”, ossia come Animatore Digitale (spero che, dal su citato elenco, solo parziale, della azioni spettanti all’AD, chi di voi ritenesse il mio riferimento a magia ed eroismo, inappropriato al contesto, si sia, almeno in parte, ravveduto);

– la politica dell’inclusività prende il ruolo di possibile soluzione dell’esclusività digitale o digital divide;

– l’innovazione tecnologica assume un ruolo non prioritario rispetto all’urgenza di un’innovazione di tipo culturale (cit.);

Invito, a tal proposito, a leggere integralmente l’intervento del Prof. Piero Dominici per cogliere aspetti di maggiore complessità e legami sociali-culturali-logici-umanistici più profondi e articolati di quanto io non sia stata in grado di rappresentare.

Riconosco di aver divagato, indegnamente, sui grandi sistemi, ma mi servono/ci servono chiavi di lettura più ampie per interpretare il cambiamento e riadattarlo sulla base dei contesti in cui operiamo, a volte così lontani dai cambiamenti proposti (?) dall’alto.

Quindi, torno con i piedi per terra e mi chiedo: quale innovazione per la mia scuola, istituto comprensivo con 900 alunni, 100 docenti e meno della metà di personale ATA, sita nel quartiere periferico del Monte Rosello Alto di Sassari?

Forse la chiave di lettura è pensare all’innovazione, in termini di destabilizzazione (“Innovare significa destabilizzare” – cit.) e non, banalmente, di rincorsa schizofrenica agli ultimi device tecnologici da applicare alla didattica o alla gestione della documentazione amministrativa.

E destabilizzare, nella micro-società complessa della mia scuola e del suo territorio, potrebbe essere ‘semplicemente’ un lavoro strutturato di auto-analisi e auto-critica, individuale e in team, una ricerca di metodologie davvero utili all’attività formativa ed organizzativa, in cui la tecnologia rappresenti uno strumento utile di lavoro, non il suo obiettivo.

Lo ammetto: nella mia scuola non siamo tutti e del tutto pronti ad una vera rivoluzione digitale, in senso letterale, ma come docenti e, più in generale, come persone (Dirigente e Direttore SGA, compresi) che lavorano in una scuola ‘difficile’, ritengo, consapevole del rischio di apparire presuntuosa, che siamo già operativi in termini di soluzioni innovative, pronti cioè ad accogliere le sfide, a interpretarle in modo critico, a ricercare soluzioni condivise e condivisibili, inclusivi verso studenti, famiglie e territorio, in quanto termometro delle esigenze del quotidiano e della vita reale. Sentiamo l’onere di sforzarci per offrire alla nostra utenza strumenti concreti e utili di riscatto sociale e culturale.

Alla luce di un’esigenza sempre più forte di creare comunità di interesse, occasioni di incontro, contesti di comunicazione e di informazione, siano essi reali o virtuali, l’Animatore Digitale, il Team per l’Innovazione, la Dirigenza, i singoli docenti, il personale ATA, compiono i loro primi passi nell’ambito delle azioni del PNSD, contenitore cui dare un senso, una personalità plurima e differenziata, sulla base delle diverse realtà territoriali delle scuole in cui esso viene letto, interpretato, adattato e, infine, adottato. Un abito insomma da modellare su corpi diversi, per garantirne la migliore vestibilità.

Proviamoci, anche se il ruolo di sarto non è contemplato tra le mansioni dell’AD!

Tutta questa logorroica premessa per segnalare ai colleghi Animatori Digitali – che non abbiano abbandonato la lettura del mio post molti capoversi prima (avreste tutta la mia comprensione) -, che il mio lavoro come AD verrà periodicamente registrato al seguente link: pnsdmonteroselloalto.wordpress.com.

Spero che qualcosa possa esservi utile.

Grazie per la vostra paziente attenzione.

Laura Neri, AD dell’IC Monte Rosello Alto – Sassari

Didattica a commutazione di contesto e BYOD

Cari colleghi e colleghe,

sono Antonello Zizi, un docente del Giua di Cagliari, e dal giorno del mio inserimento in ruolo mi sono occupato di innovazione in ogni ambito che ho avuto il piacere di esplorare.

Vorrei proporre un contributo che riguarda due diverse facce della stessa medaglia, ovvero da una parte come cercare di portare novità anche metodologiche nella scuola,  dall’altra parte come valutare l’impatto che alcune novità possono avere dal punto di vista dei sistemi.

Il primo contributo riguarda una metodologia didattica che prende il nome dalla modalità di funzionamento del microprocessore nei moderni sistemi operativi (context switch) ma che trae spunto dalla psicologia della comunicazione, il secondo invece è una riflessione su cosa il BYOD può portarsi dietro in termini di problematiche tecniche non sempre evidenti.

Contributo 1:

CSTM  m.tecnicadellascuola.it/item/22868-didattica-innovativa-l-uso-dei-mass-media-aumenta-lo-soglia-dell-attenzione.html

Contributo 2:

BYON: il “lato oscuro” del BYOD

Il PNSD segna un punto di svolta nel panorama scolastico italiano. Oggi l’attenzione è concentrata su come integrare la tecnologia in classe e favorire l’acquisizione da parte degli studenti delle competenze tecnologiche necessarie per orientarsi agevolmente nella società del XXI secolo.

Molti sono i forum e gli eventi formativi dedicati al digitale e alle nuove metodologie didattiche legate al mondo della tecnologia, e tra le varie azioni (meglio sottoazioni) vorrei parlare di BYOD, ovvero l’uso  a scuola dei dispositivi personali degli studenti, connessi alla rete d’Istituto e impiegati nelle varie forme di didattica alternativa.

Tanti sono gli aspetti positivi e condivisibili che si sono discussi in merito a questa modalità di utilizzo dei dispositivi personali, ma a mio parere è stato tralasciato un punto imprescindibile: La sicurezza dei sistemi e dei dati.

In altri stati e in altri ambiti da qualche anno si sente parlare di  “BYON” ovvero Bring your owner network. Questo fenomeno, ancora poco analizzato qui da noi, riguarda la capacità, per ogni utente, di disporre della propria rete personale interconnessa ad Internet.

Non c’è niente di diverso dal portare con se il proprio smartphone o il proprio tablet il quale, grazie al contratto col proprio operatore, è in grado di accedere alla rete e di navigare in qualunque sito.

Allora, se in passato  gli amministratori  della rete potevano bloccare l’accesso e selezionare le applicazioni e gli ambienti web attraverso politiche di controllo, col BYON gli studenti possono aggirare i filtri della scuola utilizzando le proprie reti mobili e Wi-Fi hot-spot, facendo nascere quello che è l’ultimo problema di sicurezza per la scuola e costringendo gli amministratori di rete ad affrontare un carico di lavoro sempre più impegnativo alla ricerca dei modi per proteggere gli studenti e la scuola stessa, dalla diffusione di malware, oltre che per impedire le dannose fughe di dati e il determinarsi della visibilità incondizionata di tutti i dispositivi sulla rete.

Questo aspetto, dunque, determina più di una situazione pericolosa dal punto di vista della sicurezza informatica in quanto:

  • Le politiche di sicurezza poste in atto dall’amministratore della rete scolastica sono relative alla rete interna;
  • gli studenti possono aggirare i filtri della scuola utilizzando le proprie reti mobili e Wi-Fi hot-spot;
  • Un dispositivo in BYON funge da bridge tra la rete scolastica (sicura) e ogni altro servizio del Web (anche del deep Web) che potrebbe portarsi dietro software malevolo e minare la sicurezza del resto della rete.

Il BYOD dunque offre molteplici possibilità ma porta con se molteplici criticità.

Oltre al BYON ci sono altri aspetti che dovrebbero far riflettere per permetterci di avere un approccio proattivo circa la protezione dei dati e dei sistemi, piuttosto che dover essere reattivi dopo che il danno è già stato fatto.

Una criticità che ho individuato riguarda il BYOD in istituti a forte caratterizzazione tecnologica ed informatica.

In tali contesti, si sa, la maggior parte degli studenti ha (fortunatamente) una grande passione per l’Informatica e la tecnologia, e la maggior parte delle volte (purtroppo) questa passione coincide con un desiderio smisurato di imparare le tecniche di “hackeraggio” inteso come la capacità di violazione di sistemi e del superamento dei meccanismi di sicurezza.

I sistemi informatici scolastici (e non solo) offrono un fronte consistente di protezione maggiormente dal lato front-end, (dall’esterno verso l’interno). Potenti firewall monitorizzano le richieste e il traffico in entrata e, grazie a numerose regole ad hoc, sono in grado di far fronte agli attacchi provenienti dall’esterno.

Ma com’è la situazione dall’interno?

Nella maggior parte dei casi troviamo alcune restrizioni sui protocolli (es. bloccare i protocolli di connessione tra pari “P2P”) e niente più.

Permettere dunque la connessione di dispositivi BYOD, in alcuni casi, potrebbe compromettere la sicurezza globale del sistema e si potrebbero compromettere anche postazioni contenenti dati sensibili.

Certo, in teoria le linee dati di segreteria sono fisicamente separate dalle linee dati della didattica, ma anche in questa fortunata ipotesi non ci sarebbe da stare completamente tranquilli.

Pensiamo ad esempio ai dati dei registri elettronici, ai server di posta, alle postazioni dove si preparano le prove scritte, etc.

Come sarebbe una scuola dove gli studenti possono accedere ai registri, modificare valutazioni, leggere in anticipo le prove scritte, spiare ogni tasto premuto dai docenti o dal personale?

Certo, esiste una normativa che punisce pesantemente i reati informatici, ma come possiamo pensare che questo sia un deterrente sufficiente in grado di frenare l’istinto curioso e la fantasia dei giovani studenti, a maggior ragione se si parla di studenti con una smisurata passione per l’informatica?

Ma sarà davvero così?

Le scuole che adottano BYOD rischiano davvero così tanto?

Per rispondere a queste domande, al termine dell’a.s. ho installato kali linux sul mio notebook e dopo aver effettuato la connessione alla rete interna d’istituto ho effettuato un test per misurare il grado di protezione e la robustezza del sistema in caso di attacchi provenienti dall’interno.

Tralasciando lo sniffing del traffico in chiaro, cosa che si ottiene praticamente in automatico su tutte le VLAN dell’istituto (non solo in quella alla quale ci si connette), non ho avuto difficoltà ad inquinare qualche tabella ARP e a portare avanti un attacco MITM che mi ha dato la possibilità di fare SSL Strip per lo sniffing del traffico criptato sotto SSL.

Ora, questo non è il luogo dove discutere dati particolareggiati, ma vi assicuro che con una mezz’ora di tentativi, e con pochi “grammi” di  meterpreter e metasploit (se non sapete cosa sono è meglio!) sono diventato velocemente il padrone del mondo! Ho sperimentato la possibilità di installare keylogger e di attivare sessioni “spia” da remoto, senza mai avvicinarmi ad una macchina, ma sfruttando le varie vulnerabilità che kali linux mi ha segnalato puntualmente.

Concludendo invito ad una riflessione su cosa permettiamo e come lo permettiamo perché, in caso contrario, rischiamo di finire in ostaggio della stessa tecnologia che vogliamo diffondere.

Spero vivamente che questa riflessione possa essere utile per tutti coloro che sono chiamati a gestire l’evoluzione del digitale nei propri istituti.

Antonello Zizi

Il 30 maggio all’insegna del Byod e… non solo

Maggio si conclude nell’incontro del 30 del Corso 1 AD di Sassari, all’interno del quale i Docenti mostrano interesse per la possibilità di sperimentare una forma di BYOD ad ogni livello scolare e tra di noi c’è chi lo attua da tempo, anche nella scuola primaria, come risulta dai dati del grafico riguardante la metodologia didattica applicata dai nostri Corsisti, dati desunti dal rilevamento iniziale di profilatura dei Docenti iscritti al corso.
Link al grafico:
9 di loro, pari al 33.3% attua questa modalità, anche se dal grafico non emerge la regolarità e l’approvazione o meno da parte degli alunni. Però non è una parola sconosciuta, anzi la definirei “sensibile” e dall’incontro è scaturita una riflessione corale, che ha messo in luce sia le positività metodologiche, analizzate all’interno delle esperienze descritte nel 3° ambito, sia le varie criticità, soprattutto tecnologiche, che frenano i Docenti a voler intraprendere questo cammino tecno-metodologico. Leggi tutto “Il 30 maggio all’insegna del Byod e… non solo”